IL PERSONAGGIO «IN CONCERTO CON LA NOSTALGIA DI PINO E DELLA SUAMUSICA» VENDITTI AL PALAPARTENOPE SULLE NOTE DI «TORTUGA»
«Per me Napoli è, e sarà per sempre legata al ricordo di Pino, con cui ho condiviso pezzi di musica e di vita» assicura Antonello Venditti, stasera al Palapartenope. «Suonare qui significa tornare con la mente a lui e a Lucio Dalla, ma anche ad Enzo Avitabile con cui ho avuto modo di assimilare Napoli come la città della musica, della vitalità e della vita». Anche se sullo sfondo di questa serenata partenopea per l’uomo nato sotto il segno dei pesci rimangono i ricordi colmi di nostalgia trasfigurati nelle canzoni dell’ultimo album in studio, «Tortuga», ispirato al bar a due passi dal liceo Giulio Cesare, crocevia giovanile della sua Roma «gialla come er sole, rossa come er core». Quella raccontata anche da «Tortuga, un giorno in Paradiso – Stadio Olimpico 2015»,doppio cd dal vivo (con relativo dvd) appena arrivato sul mercato. «Il disco racconta l'evento che mi ha visto protagonista tre mesi fa al Foro Italico; una di quelle notti perfette che spero tanto di ritrovare ora nei palasport». 
Roma è ancora «capoccia der mondo infame», come dice una sua canzone? 
«Per le strade di Roma in questo momento si respira un clima di disillusione, di disagio. Il concerto ha saputo restituire alla città per un paio di ore un’immagine mia, ideale, facendole riassaporare un po’ di speranza, di gioia, di orgoglio. Perché, in occasioni come quella, la musica fa. Anche se non nascondo che per me questo tour rappresenta una salutare boccata di aria fresca». 
Ma la città oggi come le pare? 
«La vedo abbandonata a se stessa, come dilaniata da regolamenti di conti. Le uniche parole sensate arrivano dall’altra parte del Tevere. E sono quelle di Papa Francesco». 
Bergoglio le piace molto. 
«Qualche settimana fa Paolo Sorrentino ha girato per Sky alcune scene del suo “The Young Pope” proprio sotto casa mia. E più lo vedevo lavorare più pensavo che in questo momento Francesco rappresenta la speranza della città di Roma,e non solo». 
«Tortuga» è stato certificato disco d’oro per aver venduto oltre 25 mila copie, cifra che un tempo forse avrebbe messo a bilancio solo con gli ordini dei negozi del centro della capitale. Demoralizzato? 
«La realtà è che oggi il disco non è più al centro della musica. Rimane l’attenzione culturale sul prodotto artistico, ma i suoi strumenti di divulgazione si sono moltiplicati rispetto a quelli di un tempo. Basti pensare che con le canzoni di "Tortuga",fra visualizzazioni e scaricamenti, siamo arrivati ad oltre 25 milioni di contatti»..
Dove sta il problema? 
«Oggi c'è tanta, troppa musica. E questo fa sì che se ne perda un po' il peso culturale perché non c'è più selezione. Un tempo l'approccio dell'artista con il disco avveniva solo attraverso l'interessamento della casa discografica. Questo faceva sì che i prodotti sul mercato fossero pochi e selezionatissimi. Ci si scandalizzava davanti ai gruppi fantasma, mentre oggi la musica è in buona parte senza volto, un po' come quella messa all'indice dai Gorillaz di Damon Albarn facendo suonare in scena un cartone animato». 
Un segreto della sua carriera di oltre quarant'anni? 
«Per resistere a lungo, bisogna darsi degli obiettivi perché la gente premia sempre il progetto. I miei dischi, ad esempio, discendono uno dall’altro come in un sistema di scatole cinesi. Chi viene a vedermi segue un filo narrativo che si srotola dalla prima all'ultima canzone. D'altronde, dopo 45 anni di palcoscenico, non fai un disco come "Tortuga" se non ci metti tutta la tua storia e la tua vita». 
Però nel tour precedente focalizzava solo i suoi (favolosi) anni Settanta e Ottanta. 
«Anche se ristretto ad un ventennio, quello show aveva un filo narrativo ben preciso. E se nel nuovo spettacolo affiora un pezzo come "Lilly", lo si deve proprio alla riscoperta che ne ho fatto in quel tour». 

Andrea Spinelli  -  Il Mattino


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