IL DEBUTTO AL BELLINI - «PER RUCCELLO IL MIO TEATRO DEL DISINCANTO» - MOSCATO E CERCIELLO METTONO IN SCENA PER LA PRIMA VOLTA «BORDELLO DI MARE CON CITTÀ»
Che cosa le manca di lui? «Il suo buonumore. Era un ragazzo ricco più di sogni che di vita. Morire a 30 anni è il destino che gioca». Enzo Moscato ricorda Annibale Ruccello, e gli dedica il suo «Bordello di mare con città», mai rappresentato finora, scritto poco dopo che un incidente stradale sull'Autosole, 1986, sottraesse al primo un amico, al secondo il futuro.
E, infatti, una foto bianco/nero di Annibale campeggia lucente al centro della scena, sopra un velatino bianco. È uno sguardo fisso che osserva l'azione e gli attori nel buio della sala. Quell'immagine è un simbolo: dell'arte sua perduta e trovata, di una Napoli morta che si ostina a vivere, di una tradizione tradita che si rinnova, «di un mondo - come rimarca Cristina Donadio - dove artisti tanto diversi trovano unità nello stesso modo di fare teatro».
Con lei, in scena, sono Fulvia Carotenuto, Ivana Maione, Sefora Russo, Lello Serao, Imma Villa, lo stesso Moscato. E il regista, Carlo Cerciello, fa dell'allestimento il terzo capitolo di una quadrilogia che alla sua drammaturgia rende omaggio. Le musiche sono di Paolo Coletta, le scene di Roberto Crea, i costumi di Alessandro Ciammarughi.
Lo spettacolo aprirà martedì la stagione del Bellini, merito dei fratelli Russo, che suggellano così la nobiltà del loro cartellone. I motivi d'interesse sono molteplici. «Non ultimo la produzione», fa notare il regista. L'allestimento, infatti, accomuna il suo Elicantropo con Elledieffe, la compagnia di un'altra prematura vittima del destino, Luca De Filippo. «Tradizione e innovazione s'incontrano».
Come nacque «Bordello di mare con città»?
Moscato: «Annibale stava creando con Igina Di Napoli la cooperativa Teatro Nuovo Il Carro e, per ottenere il riconoscimento dal Ministero, aveva bisogno di un testo. L'avrebbe scritto lui. Non fece in tempo. Per non perdere l'occasione, subito dopo la sua morte Igina lo chiese a me. Il copione fu consegnato, ma mai messo in scena». Donadio: «In realtà ci provammo. Con la compagnia di Igina e la regia di Armando Pugliese. Il cast c'era e, se ricordo bene, facemmo anche qualche lettura a tavolino. Però, il tentativo fallì. Forse la morte di Annibale era troppo vicina. Trent'anni dopo, il cerchio si chiude». In quel copione Moscato fuse il dolore, l'assenza e le ferite della Napoli coeva nella storia di un disperato lupanare: Assunta, la proprietaria ex maitresse, fa miracoli. Sarà vero? Tutti, a sipario appena alzato, attendono l'arrivo di un cardinale che dovrà confermare o negare i presunti, straordinari eventi. In realtà, è la scaltra Titina a organizzare la nuova, più santa attività della casa.
Donadio: «Le si oppone Madamina, il mio personaggio, una delle puttane, che si ribella a finzioni, ipocrisie, e vuol tornare all'unica vita che accetta e le dà guadagni». Cerciello: «Ho scelto questo testo perché è lo spartiacque del teatro di Moscato. Il primo atto è ancora narrativo. Ha una storia. Nel secondo prende corpo quella sua scrittura, quell'eresia permanente che oggi tutti conosciamo nello stato maturo». Donadio: «In quegli anni, al Teatro immagine di Tango glaciale, Falso Movimento, Teatro Studio... rispondevano Ruccello, Moscato, Santanelli. In loro era la parola a riprendere forza; nuova, corposa, spessa, barocca, più di quella eduardiana»
Cerciello: «Ed è quella parola che si fa largo nel secondo atto di Bordello di mare con città; la poesia visionaria di un autore che si fa anche attore e regista, ed esprime la lava incandescente e la contraddizione dei personaggi, anime di sacro e profano, bene e male».
Moscato: «In quel copione asimmetrico, sbilanciato, uso per l'ultima volta e poi abbandono la drammaturgia classica, a favore di una scrittura scenica. Potremmo definirla de-lirica, o de-lirismo. Ha la lirica, la poesia, ma nell'accezione civile di Pasolini; ma ha anche il delirio, entrambi forme di un teatro di visioni, fantasmi, ossessioni, ossimori. Dentro c'è già tutto il bestiario metropolitano dei miei testi successivi; e l'immagine di una Napoli dicotomica, abitata da demoni e possessioni, confusa dal costante bisogno sia di autopunirsi sia di cambiare carne e volto; la città pre-bassoliniana che la camorra aveva agguantato e il terremoto ferito, ma che non smetteva di immaginare una palingenesi. Poi il tempo è passato, e 30 anni dopo la morte di Annibale prevale la disillusione... facendosi canto; quello del mio ultimo spettacolo. Teatro disincantato di libertà».
Luciano Giannini - Il Mattino