BRACHETTI AL DIANA CON «CHE SORPRESA» TUTTO RINNOVATO. «NEL VIDEOGAME DELLA VITA TRA SOGNI E SPERANZE»
Armato di raggio laser, sullo sfondo di una scenografia dominata dal grigio, il mago col ciuffo manipola la luce creando ambienti colorati in cui deambula; con il video mapping fa diventare una cassa ora un salame, ora un frigo, una valigia, un blocco di mattoni. È Arturo Brachetti, il re dei trasformisti. L'ultimo suo spettacolo – «Brachetti, che sorpresa» – ha il titolo identico al precedente, «ma è nuovo almeno per il 60 per cento», dice. E arriva da domani all'8 novembre al Diana. Poi, sarà il 10 e 11 novembre al Gesualdo di Avellino,e dal 12 al 15 al Verdi di Salerno. Al suo fianco, in scena, sono Luca Bono, Luca & Tino, Francesco Scimemi e Kevin Michael Moore, «un americano che per l'occasione veste i panni di 328328». 
Si spieghi Brachetti.
«È una sorta di Virgilio o di Morpheus di "Matrix". Stavolta non sono più nel deposito bagagli di un aeroporto, ma proiettato in un videogame, il videogame della vita. E la vita è fatta di livelli: uno, infanzia; due, adolescenza; tre, età adulta; quattro, maturità. Io arrivo in palcoscenico con il teletrasporto e incontro questo 328328 che mi vuol far passare dal tre al quattro, vuole che diventi maturo. Io al principio non capisco, non ci sto; ma poi, con la mia valigia fatta di speranza e di sogni, e i miei colleghi, mi metto all'opera». 
Qual è il loro ruolo? 
«Innanzitutto, sono ottimi comici e illusionisti. Qui rappresentano aspetti della mia personalità. Bono è l'infanzia; Luca & Tino la mia zona strampalata; Scimemi, la parte porcellosa e terrena, che divora la vita. E, infatti, tenta di mangiare uno spettatore; mentre Luca Bono fa magie con le colombe; e quegli altri due pazzi fanno apparire banane all'infinito». 
Si traveste? 
«Certo; faccio una quarantina di trasformazioni, però questo show è qualcosa di più. Pensi ai disegni con la sabbia, alle tecnologie, al video mapping... e non le dico quanto spendiamo di affitto laser e luci». 
Alla fine diventa maturo? 
«In scena sì; nella vita a volte sì, a volte no». Ha scritto il suo primo romanzo. «“Tanto per cambiare", una storia per ragazzi dai 7 ai 17anni; è uscito la settimana scorsa edito da Baldini & Castoldi e sabato alle 11.30 lo presenterò al Diana. È la storia di un bambino che si chiama Renzo, e io mi chiamo Renzo Arturo Giovanni». 
Dunque, è la sua storia. 
«Romanzata. Renzo vive nella Torino degli anni Sessanta in una famiglia modestamente povera; a scuola è vittima di bulli e, per sfuggirli, si traveste da maestro e da bidello. E si accorge che gli piace il gioco di diventare qualcun altro». 
Anche lei era vittima di bullismo? 
«Ma in modo bonario. Mi mettevano per scherzo nel bidone della spazzatura. Insomma, Renzo è lo sfigato della classe, ma quando fa i giochi di prestigio e d’illusionismo conquista il riscatto sociale. Ha anche un nemico, Ugo, un maghetto come lui, ma più fortunato, perché è ricco e il papà spende bei soldi per comprargli i ferri del mestiere. Ma, alla fine, Renzo avrà la meglio e insegnerà due cose: persegui i tuoi sogni e li realizzerai; nella vita anche chi è una vittima, può risorgere». 
Tra i suoi progetti c'è la regia dello show teatrale di Aldo, Giovanni e Giacomo per i 25 anni del trio.
 «Sarà una festa ambientata in un luna park. Le sue attrazioni saranno il oro sketch storici, che coprono ormai due generazioni di spettatori». 
Lei è da sempre il loro regista. Perché? 
«Mi piace la loro comicità, che si relaziona con la vita di tutti i giorni, attinge alla commedia dell'arte; come quella di Totò». 
A proposito di Totò, lei ama molto Napoli. 
«Città magica. Sa come la descrivo agli stranieri? Anarchia organizzata per diventare fantasia». 

Luciano Giannini  -  Il Mattino


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