Il merito di «Polvere», lo spettacolo che Saverio La Ruina presenta alla Galleria Toledo, sta nel fatto che descrive con precisione addirittura chirurgica gli stadi progressivi in cui la violenza s'incarna - giorno dopo giorno, gesto dopo gesto, parola dopo parola - prima di tradursi nel femminicidio. Assai probante appare, nel merito, la sequenza d'avvio.
Sono in scena un Lui e una Lei. E mentre Lei si sbraccia leziosa e giuliva sull'onda di «I will survive» cantata da Gloria Gaynor («So che resterò viva / ho tutta la mia vita da vivere»), Lui se ne sta accasciato in terra come un cane bastonato.
Sembrerebbe, insomma, che gli tocchi il ruolo della vittima. Ed è appunto quest' immagine ingannevole che, per contrasto, annuncia e sottolinea il vero ruolo di Lui, quello di un carnefice tanto ammantato di debolezze quanto determinato. Perfetto, quindi, risulta Saverio La Ruina nella parte di Lui, perché, insieme con la grande bravura dattore, ci mette quel suo aspetto innocuo e quella sua faccia indifesa e dolce: assolutamente spiazzanti e urticanti quando poi, per fare un esempio, diventano la maschera di un autentico terzo grado, fra il crudele e il surreale, che investe Lei a proposito di una sedia che ha spostato da dove stava di solito. «Oggi è la sedia, ma domani è una persona, un uomo, e io ho bisogno di capire se sei una donna affidabile», farnetica Lui con tono perfido e insinuante. Così, il tormentone della battuta «Facciamo lamore e passa tutto» diventa proprio la polvere del titolo: quel velo d'ipocrisia che a poco a poco si stende sui sentimenti della coppia come, davvero, un lenzuolo funebre. E molto brava, accanto a Saverio La Ruina, è anche la coprotagonista Cecilia Foti.
Per concludere, uno spettacolo ad un tempo intelligente, illuminante e coinvolgente.
Enrico Fiore - Il Mattino