AL TEATRO NUOVO:«LA MIA FAVOLA NERA NELL'ITALIA DEL FUTURO» - MARCO PAOLINI AL DEBUTTO DI UNA TRILOGIA CON «NUMERO PRIMO» «LA TECNOLOGIA È COME I BAMBINI: PIÙ CRESCE PIÙ CI SPAVENTA»
«Gli scrittori di fantascienza prendono gran cantonate; quelle poche volte che centrano il bersaglio diventano profeti. Io amo Verne e la Mary Shelley di Frankenstein. Quando lo scienziato vede la creatura che si muove, la lascia sola e va a dormire. Si rifiuta di esserne padre. Con la tecnologia, noi ci comportiamo allo stesso modo: la usiamo, ma rinunciamo a immaginare dove ci porterà. Ne rifiutiamo la responsabilità».
In questa riflessione si racchiudono lo spunto e il significato di «Numero Primo - Studio per un nuovo album», che l'affabulatore Marco Paolini porta al teatro Nuovo da stasera a domenica. Iniziatore, con Marco Baliani - e nel solco di Dario Fo - del cosiddetto teatro di narrazione, il drammaturgo, autore, scrittore e produttore bellunese nel suo sessantesimo anno di vita smette per la prima volta di cantare l'Italia di oggi e va in viaggio nel suo futuro.
Paolini, che cosa è «Numero Primo», e perché è uno «studio»?
«Immagino una trilogia che, una volta completa, potrà essere messa in scena o in unica soluzione per tre ore di spettacolo o in due serate successive. In questa prima tappa ci sono un padre, Ettore Achille si chiama, e un bambino di cinque che non ha madre, Numero Primo».
Perché senza madre?
«Ricordo una battuta del film Betty Blue: I padri sono gli ultimi eroi del nostro tempo. Il sentimento della paternità è anche quello della responsabilità. Ettore l'accetta, esercitandola verso un bambino non suo».
E che cosa fanno i due?
«Racconto sei mesi della loro vita in viaggio in un'Italia del futuro, alle prese con difficoltà e prove sempre più dure, come si conviene a una fiaba che comincia in tono leggero per diventare via via più nera, anche se non dimentica mai la speranza, l'umanità, l'empatia. Ettore Achille riceve il piccolo in un parco di divertimenti. Con lui esplora uno strano mondo, una Venezia di domani circondata da montagne di ghiaccio. Quel bambino ha doti particolari, che si sveleranno nel corso della trilogia. Risolve vari problemi e conflitti, diventando appetibile ai media. Troppo appetibile. Il padre fugge per proteggerlo».
Chi è Numero Primo?
«È un bambino tecnologico. Rappresenta tutto il mondo con cui abbiamo a che fare. A volte un figlio a 5 anni ti sembra perfetto; a 13, però, ti trovi un estraneo in casa e ti chiedi: perché non l'ho ammazzato prima? Ecco, con la tecnologia noi abbiamo il medesimo rapporto. Cresce e ci fa paura».
Come la definirebbe lei?
«Tutto quello che è venuto dopo di me e che sono costretto a imparare perdendo un sacco di tempo, per farlo in meno tempo dopo. Come tanti, io appartengo alla generazione degli immigrati digitali. Speravo di dover morire prima di imparare; mi sono reso conto che la rivoluzione in atto è così veloce che non potevo restare analogico, anche se il mio cervello continua a funzionare in quel modo. Che cosa fa questa tecnologia? Per ora ci rende la vita più comoda. Ma a dispetto di questa comodità, il mondo sarà uguale a prima o qualcosa di nuovo. Che cosa saremo domani? Domanda temibile ma stimolante».
Perché questo suo salto improvviso nel Paese del futuro?
«A 60 anni non voglio più ammantare l'Italia di nostalgia. Dunque, meglio cercare nuove strade rischiando piuttosto che invecchiare su quelle passate».
Luciano Giannini - Il Mattino