«C'è una frase che uno dei personaggi, Andrea, il figlio ribelle, dice a un certo punto del romanzo: "I Negromonte sono dentro di noi". Ecco, da quella battuta ho preso le mosse per costruire lo spettacolo».
Prodotto da Teatri Uniti e dal Franco Parenti di Milano, Enrico Ianniello parla di «Eternapoli», il monologo che presenta da stasera a domenica per la stagione del Piccolo Bellini, tratto dal bel romanzo di Giuseppe Montesano, Di questa vita menzognera.
Il libro è una saga familiare partenopea. I Negromonte sono una dinastia di imprenditori dalle mani sporche, anzi, sporchissime. «Incarnano non solo il male napoletano, - precisa Ianniello - ma un po il male in genere, quello del mondo occidentale, intendo e, forse, del mondo tout court». Arricchiti grazie al malaffare, patriarca, fratelli, sorelle, coniugi e nipoti godono dei favori del potere centrale e spadroneggiano in città. Circondati da un affollato e prono entourage, popolano un gran palazzo del Settecento, evocando i Borbone e gestendo una economia di rapina che vuol vendere il Golfo, Vesuvio compreso, e trasformare Napoli in Eternapoli, appunto, un parco a tema, come Disneyland o, visti i personaggi, Jurassick Park.
«I Negromonte sono dentro di noi», ripeteva dentro di sé Ianniello, che da anni collabora con Montesano e ha amato Di questa vita menzognera fin da quando uscì. «Ho preso alla lettera la battuta: se loro sono dentro di me, li rappresento tutti, da solo. Insomma, ho voluto ricreare sul palcoscenico quel rapporto uno a uno che si crea tra scrittore elettore».
Così, nel monologo si moltiplica, trasformandosi in 11 personaggi diversi del romanzo, tra dialoghi, trii, quartetti di voci e anche di più, come durante i pranzi di Pasqua e Natale della famiglia. Ma si sdoppia, e si triplica, Ianniello, senza tanti fronzoli e retorica: «Cambio un po' la voce e la postura del corpo. Null'altro. Voglio evitare trasformismi. Anche la scenografia si popola di rari oggetti, una tazza, un bastone, una sedia, e basta». «Eternapoli» segue landamento del romanzo, «concentrandosi un po più sull'universo familiare e un po meno sull'aspetto cantieristico, che riguardala trasformazione della città in parco a tema», insiste lattore. E aggiunge: «A colpirmi del libro è stata una rappresentazione distopica della realtà che sembra una parodia ma, tutto sommato, non lo è poi tanto. I Negromonte, in effetti, sono la metafora di una metamorfosi verso il peggio che ci riguarda tutti». Probabilmente durante le imminenti feste di Natale vedremo Ianniello anche su Raitrein «Jucatùre», il film da lui diretto e interpretato, prodotto da Rai Fiction, Centro di produzione Rai di Napoli e Teatri Uniti, che prende le mosse dall'omonima pièce teatrale, traduzione e adattamento del copione originale di Pau Mirò, firmato dallo stesso attore e regista casertano. Ma Ianniello guarda già oltre e pensa alla nuova fiction Rai cui prenderà parte: «Halo stesso titolo di un varietà mitico della tv in bianco e nero, "Studio Uno". Racconterà quel mondo, le sue atmosfere e un'Italia ormai tanto lontana».
Luciano Giannini - Il Mattino