Esplorano epoche diverse con lo stesso proposito di far luce su autori, aspetti storici ed episodi relegati nell'ombra: Laura Angiulli indaga sull'età post shakespeariana, «quella in cui la sacralità del potere non è più un punto di riferimento per la società e all'uomo non resta che rivolgersi alla natura cercando una unità forse impossibile»; Fabio Cocifoglia, invece, assieme ad Antonio Marfella e ad Alfonso Postiglione, riporta alla luce un esperimento pedagogico che vide Napoli protagonista agli inizi del Novecento. I due spettacoli, «Peccato che fosse puttana» di John Ford, e «Mare mater», scritto dai tre artisti, debuttano oggi nell'ambito del Teatro Festival: il primo alla Galleria Toledo; l'altro al bacino borbonico del Molo San Vincenzo, nella zona militare attigua al Molo Beverello.
Là, davanti allo specchio d'acqua del bacino, parte integrante della scenografia, è stata allestita una tribuna per circa 200 persone. «E là - spiega Cocifoglia, prodotto dalle Nuvole e dalla Casa del Contemporaneo di Salerno - con cinque attori e la regia di Postiglione, riscopriremo la figura di Giulia Civita Franceschi (Manuela Mandracchia), che tra il 1913 e il 1928, sulla nave asilo Caracciolo, educò 750 ragazzini dei quartieri degradati di Napoli, saliti a bordo come scugnizzi e sbarcati uomini.
Tutti ricordano il metodo Montessori, nessuno quello usato da questa signora nobile e dimenticata. Il suo sistema pedagogico, studiato anche all'estero, usava musica, teatro e, soprattutto autobiografia. Gli scugnizzi, insomma, ricostruivano le storie personali diventando più consapevoli di se stessi. Ed è quanto faremo noi, con personaggi adulti che nel segno dell'amarcord e del flusso di coscienza evocano un'avventura d'avanguardia».
Come nasce «Mare mater»?
«Dall'incontro, quattro anni fa al Museo del mare, con Antonio Mussari, il suo direttore, e la sociologa Maria Antonietta Selvaggi, che sull'esperimento realizzarono una mostra di fotografie. Tale fu il mio interesse che pensai subito a portare la storia a teatro».
Nello spettacolo ci saranno anche una banda di una trentina di ragazzi di Barra e una canzone che Raffaele Viviani scrisse per Francesca e i suoi discepoli, «Da scugnizzi a marinaretti». L'esperienza pedagogica terminò quando il fascismo pretese che tutti i ragazzi della Caracciolo confluissero nell'Opera Balilla.
Tutt'altra temperie - cupa e malefica - si respira in «Peccato che fosse puttana» di John Ford (1633), prodotto da Teatro Festival e Galleria Toledo. La Angiulli: «Ho fatto sette allestimenti shakespeariani; ora voglio proseguire con gli autori successivi.
Per giunta, questo testo non è stato molto rappresentato: ricordo gli allestimenti di Lucignani nel 1949, dei Santella negli anni Sessanta, poi quelli di Visconti e di Ronconi. Mettiamoci anche il film Addio fratello crudele, che soltanto sulla trama principale dei due fratelli amanti incestuosi, Giovanni e Annabella, girò Patroni Griffi».
In realtà - spiega la regista - «la storia è più complessa, coinvolge quelle dei pretendenti di Annabella, e ha una fine tragica. Per tutti: Giovanni uccide la sorella amata, le prende il cuore perché sia sempre con lui, poi ne ammazza il marito e si lascia trafiggere da un suo servo.
Anche il padre di lei muore di crepacuore dopo aver saputo dell'incesto. Un dramma crudo, violento, straordinariamente teatrale, che nella sua violenza nasconde la condanna contro il decadere dei costumi». La messinscena?
«Classica, ma senza retorica, con una recitazione semplice e asciutta, il nero e il rosso come tonalità persistenti, esaltate dalle luci di Cesare Accetta e dalle scene di Rosario Squillace. In compagnia, 11 attori, tra cui Alessandra D'Elia, Agostino Chiummariello e Annamaria Ackermann. I debutti di oggi si completano con «Love stories» all'Arena Flegrea, che vede le sorelle pianiste Labèque al centro di uno show che unisce la musica di Bernestein e di Chalmin con la danza. Ovviamente nel segno dell'amore.
Luciano Giannini - Il Mattino