AL BELLINI LA CARMEN DI MARTONE
Il testo è recitato e cantato: «Pensate a 'Isso, esso e 'o malamente', alla sceneggiata, alla zarzuela, al teatro dei porti e dei vicoli.  Questo è il modello cui ho attinto; anche se, subito dopo, il rimando a Viviani diventa obbligatorio». 
Mario Martone presenta la sua «Carmen», napoletana e multietnica riscritta da Enzo Moscato e prodotta dallo Stabile Teatro Nazionale di Torino da lui diretto. Lo spettacolo, che debuttò al Carignano nel febbraio 2015, arriva da martedì prossimo al 24 aprile al Bellini. Sono otto anni che il regista manca da un palcoscenico napoletano; cioè dai tempi di «Falstaff» con Carpentieri al San Ferdinando. È venuto nel 2012 con «Operette morali» che, però, andò in scena all’Istituto per gli Studi Filosofici per il Maggio dei monumenti. Le musiche di «Carmen», ispirate a Bizet, sono dell'Orchestra di Piazza Vittorio diretta da Mario Tronco, che firma gli arrangiamenti con Leandro Piccioni. In scena sono, tra gli altri, Iaia Forte e Roberto De Francesco, Ernesto Maihieux, Giovanni Ludeno, Anna Redi, Francesco Di Leva. 
Martone, com'è giunto a «Carmen»?
«Da anni Mario Tronco e io volevamo lavorare assieme. Abbiamo vagliato diversi progetti; poi loro avevano fatto una "Carmen" a Lione, a me il soggetto è sempre piaciuto e l'abbiamo scelto. Per l'occasione sono tornato a dirigere due attori a me molto cari, Iaia Forte e Roberto De Francesco. Ambientare la storia a Napoli è stato il tocco finale. Venivo da "Operette morali" e "Serata a Colono" e avevo voglia di risciacquare i panni a Mergellina». 
Moscato ha scritto un testo più lungo, che s'intitola «Lacarmèn». Lei, però, ne ha preso soltanto una parte.
«È la terza volta che Enzo e io collaboriamo, dopo "Rasoi" e "L’opera segreta". E sempre il nostro rapporto è stato di grande libertà. Anche stavolta gli ho suggeritole mie suggestioni, che prendevano spunto più dal racconto di Merimée che da Bizet. In quel caso, la vicenda di Carmen è ricordata da Don Josè in carcere. Nel suo meraviglioso napoletano Enzo ha sviluppato una storia lunga e articolata, che va dal dopoguerra a oggi. Da quell'originale ho tratto la mia sintesi». 
Nella sua versione Carmen non finisce uccisa. 
«Ed è una delle intuizioni più belle. Sì, Don Josè la acceca con un pugnale, evocando un simbolismo che fa pensare innanzitutto a Edipo. Ma, non morendo, può finalmente anche lei prendere la parola».
La musica di Mario Tronco? 
«Splendido lavoro il suo. Anche perché l'Orchestra di Piazza Vittorio ha parte attiva nell’azione scenica. La musica mostra l'anima di una Napoli capitale del Sud del mondo, che canta nella propria lingua, ma anche in arabo, in romeno. È la Napoli contemporanea dei Quartieri Spagnoli, uno dei luoghi più multietnici d'Europa, che conferma la vocazione di una città di accoglienza, una città porto, crocevia del mondo, soprattutto dei suoi Sud. Perciò, lo spettacolo sarà accompagnato da alcune iniziative».
Quali? 
«Il 21, 22 e 23 al Bellini proietteremo tre video in altrettante serate con il titolo "Carmen e i suoi fratelli". Sono le registrazioni di "Rasoi" e dei "Dieci comandamenti" di Viviani ai Ventaglieri; cui si aggiunge il documentario su “Edipo re” che diressi all’Argentina di Roma nel 2000 con un coro di immigrati. I tre spettacoli sono tutti fratelli di questa "Carmen", che il giorno 20 presenterò agli studenti della Federico II». 
Domenica scorsa alla Scala ha debuttato con successo  «La cena delle beffe» di Giordano, che lei ha ambientato nella Little Italy degli Anni Venti.
«Una scelta ispirata dalla partitura. L'opera è verista, ha un canto sforzato. Mi è parso fuori luogo mettere i cantanti incalza maglia per adeguarli a una improbabile pittoricità quattrocentesca. La musica di Giordano porta lontano dalla Firenze di Lorenzo il magnifico; è più congeniale a quel mondo italo-americano dominato da violenza beffarda, clan contrapposti, maschilismo narcisista e prepotente. E anche a Milano ho presentato il video dei "Dieci comandamenti", perché in Viviani c'è la stessa affinità con quegli anni Venti e Trenta, dove si intrecciano musica, violenza e passione».
Perché non porterà «La morte di Danton» di Büchner al Napoli Teatro Festival Italia? Il direttore Franco Dragone l’aveva invitata.
«Impossibile riunire tutti e 30 gli attori della compagnia. Tra giugno e luglio avevano già preso altri impegni. Ma verremo nella prossima stagione». 
Dirigerà la fiction Rai tratta dall’«Amica geniale» di Elena Ferrante? 
«So che hanno cominciato a scrivere la sceneggiatura, ma il regista non è stato ancora scelto».
Cosa dice dell'ipotesi di Marco Santagata che indica la professoressa Marcella Marmo come colei che si nasconde dietro lo pseudonimo della Ferrante? 
«Non sono curioso, anche se ho girato un film da un suo libro che ho molto amato, "L'amore molesto", e con lei ho intessuto una fitta corrispondenza. Mi sembra che la mancata identità faccia parte dell'opera. Quel nome senza volto è legato alla personalità della Ferrante. È una necessità che esige rispetto. Nella sua opera c'è la sua scrittura. E anche la sua assenza». 

Luciano Giannini  -  Il Mattino


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