AL BELLINI: «INVITO A CENA CON SORPRESA COM'È COMICA LA CORRUZIONE» PARAVIDINO E «SOUPER»: «DAL 1930 DI MOLNAR POCO È CAMBIATO»
«Questa commedia», spiega Fausto Paravidino, «parla di corruzione. Dunque, è molto attuale. E anche molto divertente. L'ho scelta perché mi interessava mostrare come certi meccanismi che oggi tanto ci scandalizzano siano gli stessi del 1930. La constatazione non deve impedire di scandalizzarci, e ci invita a porci qualche domanda seria su come sono fatti lessere umano e la struttura del potere, strada maestra che conduce alla corruzione. Dobbiamo provare a capire e a difenderci, altrimenti continueremo a illuderci, a incolpare lultimo corrotto, a dargli, semmai, il colpo di grazia per poi essere noi stessi a sostituirlo con un altro suo simile».
La commedia in questione è «Souper».
La scrisse nel 1930 l'autore dei «Ragazzi della via Pál», Ferenc Molnar. L'attore, drammaturgo e autore genovese la sta ora portando in tournée, che fa tappa da stasera a domenica al Bellini.
In scena Paravidino dirige dieci attori in una storia che ha il pregio, dice, «di durare poco e fluire comica e leggera come una barzelletta. Ma la breve durata, la semplicità non devono trarre in inganno: Molnar non si perde in chiacchiere. Una cosa dice, però sa farlo con chiarezza ed efficacia».
La corruzione, dunque, fa anche ridere? «Ma certo, si può ridere quasi di tutto, a cominciare dai potenti, ovviamente. Sa, preferisco ridere di chi ha la cravatta, piuttosto che di uno con le pezze al sedere».
In breve, la storia è quella di una cena: un distinto direttore di banca ha riunito gli amici, il suo gruppo di potere, per celebrare se stesso all'apice
del successo; ma sul più bello la polizia bussa alla porta, e lo arresta.
I presunti amici lo scaricano e il dubbio se la sua carriera sia stata poi così limpida come tutti ritenevano fino a un momento prima comincia da aleggiare nella sala.
«La commedia, dunque, parla di cattiva coscienza», aggiunge il regista. Impegnato in un teatro che vuol far riflettere sulle storture del nostro mondo, Paravidino non a caso ha intitolato «Crisi» i suoi periodici laboratori teatrali. Perché? «La parola sintetizza quella in cui stiamo vivendo, legata all'altra del 2009,che era finanziaria,ma anche di sistema; quindi anche culturale. E noi, che viviamo in questo periodo storico, non possiamo ignorarla. Far finta a che sia passeggera significa non affrontarla. Che fare? Io mi servo del teatro, che parla sempre di crisi, ma cos'è una commedia se non la rappresentazione della vita quando, a un tratto, accade qualcosa, un incidente...critico?».
Fa parte di questa visione che, in senso ampio, è politica, anche la decisione di lavorare spesso all'estero. «Certo», insiste Paravidino. «In Italia mancano le strutture. Nel senso che le occupano i soliti noti. Il Paese non è in grado di sostenere la cultura e pretende che lo faccia il mercato. Ma anche il mercato non è in grado. Lo sarebbe, se le risorse non fossero scarse. In Europa, siamo quelli che, in percentuale, investono meno nel settore, e quei pochi soldi sono intercettati dalle stesse persone».
Può mancare una domanda su Napoli? No . Come la vede Paravidino, al di là del politically correct? «Al di là? Napoli è l'unico posto dove a tutti si fa sempre questa domanda. Dunque, è una città che vuole si parli soprattutto di lei».
Luciano Giannini - Il Mattino