AL BELLINI: SE LE DONNE NON VEDONO IL MOSTRO DENTRO CASA
Ci si può chiedere che cosa - al di là del titolo, «Ferite a morte», ovviamente riferito all'imperversare dei femminicidi - accomuni i venti monologhi compresi nel testo di Serena Dandini ora in scena al Bellini. 
E quel qualcosa è senza dubbio la programmatica adozione d'ininterrotti slittamenti e capovolgimenti di senso. 
Al riguardo, basterebbe considerare già il primo dei monologhi in questione, «Il mostro». 
La moglie che racconta comincia con la battuta più volte ripetuta: «Avevamo il mostro in casa e non ce ne siamo accorti», prosegue con la precisazione: «Ma neanche il mio marito sen' era accorto che  aveva il mostro dentro» e termina con la considerazione: «Lo vedi? Non avevamo un mostro in casa, ci pensava a me, anche alla fine...sennò non mi tramortiva prima con la vangata, senza sarebbe stato peggio, avrei sofferto molto di più». 
Il «prima» significa prima di bruciarla viva. E valga, quest' esempio, a dire della comicità - schietta, e al tempo stesso livida e corrosiva - che percorre il testo da cima a fondo; e che, naturalmente, si dà l’obiettivo di una riflessione amara che diventa invito a reagire tanto più pressante quanto più calato in una grottesca dimensione surreale: come nel caso della donna che - convintasi che «un compagno violento non ti accompagna nella vita, al massimo all'ospedale» - va a sporgere denuncia, «ma il carabiniere di turno non c'era, dice che era stato arrestato per aver ammazzato la moglie con la pistola d'ordinanza». 
Molto efficace anche la messinscena, curata dalla stessa Dandini: giacché, utilizzando al meglio le immagini dell'artista Rossella Fumasoni, sottolinea per contrasto, e quindi con icasticità maggiore, i crudi elementi della cronaca vera che hanno ispirato questi monologhi. Vedi, in proposito, la proverbiale e pacchiana consolazione della palla di vetro che - mentre si narra di una luna di miele insaporita dai ceffoni del paranoico consorte di turno - compare su uno schermo a mostrarci l'eterno sfarfallìo dei fiocchi di neve su Venezia. Per giunta, la collaborazione alla stesura dei testi di Maura Misiti, ricercatrice del CNR, ha garantito loro una caratura scientifica che spinge la satira di costume verso l’analisi sociologica e, in qualche circostanza (come nel racconto della mutilazione dei genitali subìta da Fatoumata a Bamako), l'antropologia culturale. 
Ed è inutile dire, infine, quanto siano brave le interpreti in campo: Lella Costa, paladina da sempre del teatro d'impegno civile, Orsetta De Rossi e Rita Pelusio.

Enrico Fiore  -  Il Mattino


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