Ho iniziato a leggere Alberto Moravia quando avevo tredici anni, frequentando la casa di amici con una grandissima libreria, e con lui ho cominciato a osservare un mondo di relazioni surreali che solo dopo, da grande, ho potuto ri-conoscere nelle dinamiche assolutamente, e disperatamente, normali di una società aggrappata alla forma più che alla sostanza. Poi, ho messo in scena un suo testo teatrale La vita è gioco dove il confronto tra il ceto popolare e quello della buona borghesia fa corto circuito e salva solo le fondamenta di qualsiasi improbabile costruzione, comè giusto che sia. Oggi, alla ricerca di materiale per questa rassegna - importantissima a mio avviso per ricominciare dalla cultura e dal teatro - mi sono imbattuto nei racconti surrealisti e satirici che non conoscevo e che mi hanno fatto divertire e raggelare insieme, grazie alla penna felice e impietosa di questo magnifico autore che dipinge lo stesso mondo, ancora una volta, ma usa lenti di ingrandimento, caleidoscopiche, deformanti: la provocazione appare più blanda, forse, ma il risultato non cambia e la riflessione sulle scelte di verità e di umanità, indispensabili nella nostra vita, mi è tornata prepotentemente in testa e nel cuore. Ho sorriso e tremato, mi sono divertito a gustare, strizzando gli occhi, pietanze saporite più del dovuto, quasi velenose a tratti, di un mondo surreale, assurdo, naturalmente efferato se visto al negativo, a testa in giù, per sorridere e affrancarsi dallottusità e dalla claustrofobia.
Luciano Melchionna