La vita quotidiana della città non si è ancora risvegliata e dalla sospensione onirica della situazione, dagli scontri e dagli avvicinamenti reciproci, emerge la visione brutale di una realtà ribaltata. La galera, un luogo alieno, in larga parte ignoto ed oscuro, si rivela un riferimento quasi naturale, oggetto intermittente di desiderio e, paradossalmente, sede di libertà surrogata. In qualche modo la reclusione viene condivisa all'esterno dai condannati e per le tre donne, che se ne fanno carico, coincide con la stessa esistenza: i ruoli maschili si sovrappongono alle vite di ciascuna, ripercuotendosi fisicamente sul corpo, sui comportamenti, sulle attività, sulla psiche. Nella loro realtà, la detenzione è una fatalità vicina - come la morte, - che deturpa l'animo di chi resta. Pare assodato che la pena sia inutile o ingiusta.
Nel corso delle ricerche ci siamo innamorati di queste vite dimezzate, ancorate all'abisso, disposte lungo una linea di confine spaziale e sociale, costantemente protese verso l'altrove: un aldilà doloroso e ingombrante da un lato e, per contro, una vita altra, sognata, necessaria, negata. La mancanza, in entrambe le direzioni, ci è sembrata intollerabile.